Aderenza

Hai sbagliato. Non ho intenzione di parlare di scarpette d’arrampicata o di roccia: mi sto chiedendo quanto aderente alla realtà è l’arrampicata. Qual è il confine con l’alienazione? E fino a che punto ci si può spingere per soddisfare il nostro egocentrismo? L’ho sempre pensato: alla fine si arrampica per dimostrare a se stessi, per dimostrare agli altri che si è bravi. Anche gli alpinisti non sfuggono all’amara legge di autoaffermazione che governa le nostre menti. Rapportiamo la nostra felicità non in base ai bisogni interiori, ma in base alla felicità di chi ci sta intorno. Non è importante essere ricchi, è importante avere dieci euro in più dei tuoi amici. Penso che il vero motivo per cui si cerca il successo sia quello di arrivare, per poi potersi permettere di sedere. E’ arrivato chi sta seduto, senza essere caduto in forme di alienazione che ti permettono di perdere l’aderenza con una realtà che non si vuole accettare. Mi si gela il sangue ogni qualvolta vedo persone intorno a me che, rifiutando il proprio mondo, semplicemente se ne costruiscono uno parallelo, uno tutto loro a propria misura, perdendo la possibilità di assaporare la vita e ringraziando di essere a questo mondo ogni mattina, alzandosi dal letto. Il grado non fa un buon alpinista: il mio è un semplice invito a considerare innanzi tutto ciò che la roccia ci comunica, non ciò che vogliamo urlare alla roccia. Quando saremo in grado – credetemi, mi è venuto per caso – di comunicarlo creando coinvolgimento, per esempio tramite l’eleganza dei movimenti, tramite una sincera stretta di mano al termine delle via, rassicurando il nostro secondo nel momento del bisogno, allora potremmo affermare che la nostra non è una pratica egocentrica mirata a nascondere delle insicurezze interiori.