La mia montagna – di Aldo Solimbergo
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LA MIA MONTAGNA
Alcune domande di fondo
Montagna o montagne? Perché andare e continuare ad andare in montagna? Come e con che spirito frequentare la montagna? Non è facile trovare risposte definitive a questi interrogativi. Infatti il significato dell’andare in montagna cambia non solo di stagione in stagione ma anche in ogni stagione della vita di chi la frequenta. Costruire un rapporto tra l’uomo e la montagna è pertanto esercizio tutt’altro che semplice, facile e scontato. Eppure questo rapporto tra uomo e montagna sembra inesauribile. Ogni anno solo nel nostro paese riflessioni, esperienze e conquiste di molti alpinisti si riversano in centinaia di libri, saggi, articoli di riviste, dvd etc. E’ mia convinzione profonda che l’andare in montagna sia equiparabile all’esercizio di chi si mette nell’ordine di idee di scoprire un nuovo mondo. E questo esercizio del “salire” fuori di sé rivela ,prima o poi, in chi lo pratica, l’ esercizio del “salire dentro di sé”. Questo duplice esercizio chiede però una continua e lunga scuola di attenzione,apprendimento, preparazione, disposizione d’animo, sacrificio, riflessione e rinuncia. Perché fare tanta fatica? Quale vantaggio? Quale ritorno? E’ solo una questione di benessere fisico? Magari psichico? O c’è dell’altro?
Sicurezza in montagna: una priorità
Con sempre maggiore attenzione i mass media ci informano di situazioni drammatiche nelle quali si ritrovano alcuni escursionisti. I soccorsi che si attivano recuperano persone che si smarriscono in sentieri normali , che si trovano in situazioni limite, su pareti impossibili etc. . Nel contempo però non va sottaciuto che gli stessi mass media , in altri momenti e con grande superficialità, offrono interi inserti che pubblicizzano”avventure al limite” che inducono non pochi a facili emulazioni ritenendo che tutto sia a portata di mano!. La verità è che quando si studiano (perché dagli errori si impara!) gli eventi drammatici si rileva, pressoché sistematicamente, che i soggetti coinvolti non avevano fatto una corretta “programmazione” dell’uscita. Avevano o sottovalutato o trascurato di prendere in seria considerazione tutti i fattori, le variabili, sia prevedibili che imprevedibili ,che hanno determinato l’evento critico! Solo “programmando correttamente l’uscita” si può riuscire a minimizzare la probabilità che si presenti una situazione che degenera in evento critico. Essendo da oltre quarant’anni socio del Club Alpino Italiano posso testimoniare che: 1) per non rimanere eterni analfabeti dell’andare in montagna , o per evitare di imparare sopportando gravi costi, è indispensabile frequentare almeno un “corso base di escursionismo”; 2) nelle migliaia di escursioni sociali che ho frequentato non si è mai presentato un evento luttuoso e quando è capitato l’”incidente” si è sempre saputo risolvere positivamente sia il problema del singolo che quello del gruppo; 3) uscire sistematicamente con un gruppo CAI favorisce un passaggio intergenerazionale di esperienze e di culture della montagna che non ha pari rispetto a nessun altro gruppo organizzato di natura spontanea; 4) bisogna saper riconoscere che anche in montagna esistono talenti diversi: c’è chi sa condurre bene la propria escursione e c’è chi fa bene il leader nel senso che sa governare e assumere decisioni per il gruppo.
Programmare con serietà le escursioni
Come socio del CAI sono tenuto, pur nei miei limiti personali, a diffondere la cultura della montagna. Sul tema sicurezza in montagna e per una buona programmazione della escursione mi permetto di avanzare alcuni consigli individuali di base, necessari ma non sufficienti: 1) conoscere l’ambiente che si intende attraversare per raggiungere la meta prefissata (tipo di terreno, dislivelli in salita e discesa, tempi previsti nella diverse condizioni stagionali e metereologiche etc.); 2) sapersi orientare con carta geografica e con bussola (sempre utili in caso di nebbia o di nuvole basse che fanno perdere i punti di riferimento visibili in condizioni ottimali etc.); 3) dotarsi di un abbigliamento adeguato alle diverse stagioni e comunque capace di far fronte a repentini mutamenti di temperatura (capita in piena estate di passare, con una nevicata in quota, da 35 a 0 gradi in un breve arco di tempo); quindi:mantella, giacca a vento, guanti, copricapo, ricambi di biancheria intima e vestirsi con una tecnica a buccia di cipolla etc.; 4) adeguare l’attrezzatura in base al tipo di escursione programmata: zaino impermeabile, ombrellino, scarponi tecnici , bastoncini, corda (sempre utile per il recupero o per superare diversi tipi di difficoltà che si presentano in sentieri spazzati via dalle intemperie o per superare dislivelli che creano problemi a qualche componente del gruppo), moschettoni (importante è saper fare nodi di diversa natura) e piccozza (utile, per esempio, per fare gradini su pendii slavati etc.); 5) sapersi alimentare e idratare in modo adeguato e coerente con l’impegno fisico richiesto dall’escursione (l’ alimentazione non deve mai affaticare l’apparato digerente: quindi cibi energetici e di facile assimilazione); liquidi abbondanti associati a integratori ( che prevengono affaticamenti muscolari di diversa natura) e un termos con liquidi caldi; 6) non dimenticare mai le medicine personali e un piccolo kit di pronto soccorso (cerotti, bende, disinfettanti etc.); 7) non uscire mai da soli, molto meglio in gruppo con una persona che sia riconosciuta come capogruppo ( il quale farà una preventiva verifica del sentiero, dei tempi di escursione, delle eventuali varianti (da intendersi come vie di fuga), delle previsioni atmosferiche nonchè la valutazione delle condizioni che suggeriscono il “saper rinunciare” e “tornare indietro”; 8) ogni escursionista deve affrontare l’uscita in buone condizioni fisiche e cioè allenato sia fisicamente che psicologicamente; 9) la prima volta un itinerario va affrontato con un amico che già lo conosce per esperienza diretta; non avventurarsi mai su sentieri che non hanno la classica numerazione e segnaletica del CAI; i sentieri non sono tutti uguali; si diversificano per: orientamento cardinale ( una cosa è partire per un sentiero rivolto a nord, altra cosa ad est), per dislivello (partire subito su un sentiero in salita è cosa ben diversa che partire sul piano che consente di “scaldare i muscoli”), per ampiezza ed esposizione (in mezzo al bosco o su una cengia), per tipologia di terreno (friabile, con radici di alberi, con infiltrazioni di acqua etc.); 10) ogni escursionista deve avere una spiccata etica della responsabilità verso il compagno in difficoltà (saper capire la sua difficoltà, saperlo soccorrere, saperlo consigliare, saper agire in condizioni critiche ed estreme, avere sempre a portata di mano i numeri telefonici di uno o più medici, dei rifugi vicini, del soccorso alpino etc.); 11) far crescere continuamente dentro di sé l’ educazione verso l’ambiente; la natura ha impiegato migliaia di anni per offrirci le bellezze, i paesaggi, i suoni, i profumi, le varietà e i colori delle specie che si presentano ai nostri sensi (quindi: non accendere fuochi, non fare rumori inutili, non lasciare rifiuti, non tagliare alberi, non strappar radici, non appropriarsi di cose , fiori, sassi, legname etc.,che appartengono alla montagna etc.). In definitiva va ribadito che l’approccio più sbagliato verso la montagna è quello di concepirla come luogo del tempo libero (una sorta di prolungamento della “cultura imperante” che tutto usa e tutto getta!), come luogo nel quale fare competizione, come luogo di attività da cronometrare, come luogo di passaggio rumoroso e chiassoso, come luogo nel quale si lasciano segni di violenza e di inciviltà (al bosco, ai sentieri, alle acque etc.). La montagna richiede quindi educazione e impegno, personale e collettivo, sui molteplici fronti messi in evidenza più sopra. Ricordiamoci che il rispetto delle generazioni future ci arriverà solo se il patrimonio che la natura ci ha consegnato lo trasmetteremo “ulteriormente valorizzato e non depauperato”.
Andare in montagna oltre la meta fisica
Ma a fronte di questo impegno che dobbiamo assolvere verso noi stessi e nei confronti della montagna che cosa ce ne viene in cambio ? Dopo aver attraversato, in quasi 50 anni, le dolomiti del triveneto è mia convinzione profonda che la montagna rappresenti una delle poche realtà “residuali” esistenti, non manipolate cioè dall’intervento dell’uomo, nelle quali si rendono manifesti i segni della sacralità creaturale. Per approdare a questa chiave di lettura è però necessario superare una serie di approcci parziali e segmentati alla montagna. Questo è il risultato al quale ci fanno pervenire molteplici discipline settoriali per le quali “sassi, rocce,boschi, alberi, acqua etc.” sono solo elementi interpretabili e comprensibili, di volta in volta, con le scienze della chimica, della fisica, con la geologia, la botanica etc. . Tutte queste scienze, che forniscono saperi parziali e frammentati ( indubbiamente utili e necessari all’uomo razionale moderno), nel loro insieme non esauriscono le domande che continuamente si ripropongono dentro di noi quando ammiriamo la bellezza di un”paesaggio montano nel suo insieme”. In definitiva se la montagna suggerisce all’uomo una gamma sconfinata di ambiti di interesse sia tecnico che scientifico è innegabile che ne suggerisca una altrettanto vasta gamma sul terreno umanistico. Al riguardo si pensi al debito che le arti figurative, la musica, la poesia, la letteratura, i testi sacri delle diverse religioni etc. , hanno nei confronti della montagna.
Chi è l’uomo che va in montagna?
E’ chiaro quindi che un corretto approccio alla montagna impone all’uomo di porsi il seguente interrogativo: “CHI E’ L’UOMO CHE VA IN MONTAGNA”?. E questa domanda non può non fare i conti con il problema dell’educazione interiore dell’uomo. Allora dell’uomo che va in montagna possiamo dire che è un uomo aperto ad accogliere la “MERAVIGLIA” di ciò che gli si presenta dinnanzi! Il nostro uomo anzitutto non dà per scontato ciò che tutti gli altri danno per scontato e banalizzato (Montagna? Quattro sassi! Quante volte mi sono sentito rispondere in questo modo!). E per questo fondamentale motivo nell’andare in montagna il nostro uomo si apre ad una serie di “ ESPERIENZE FORTI”.
Il Tempo della montagna
Una prima esperienza consiste nel fatto che il nostro uomo fa l’ esercizio importante di “staccarsi dal TEMPO cronologico”, quello materiale (determinato dai rapporti di rotazione e rivoluzione tra gli astri che scandiscono secondi, ore, giorni, mesi e anni),il tempo che domina, per convenzione,i nostri giorni e le nostre attività quotidiane. Questo uomo sospende questa dimensione temporale del vivere per dare spazio interiore e fare proprio il “ tempo della natura”, dello scorrere delle stagioni , delle acque, delle nuvole, del modificarsi del paesaggio, del vento e dei suoni della natura animata e inanimata. Lasciandosi il tempo cronologico alle spalle il nostro uomo si immette in altre dimensioni temporali quali sono: il tempo della memoria, dello spirito, dell’eternità, dell’infinito. In questa dimensione l’ attimo in cui riaffiora un ricordo si dilata e accompagna l’uomo anche per ore e ore. In questo senso “il distacco” che si sperimenta dal tempo segnato dallo scorrere della realtà finita (dal tempo degli “enti “ che, in quanto finiti, necessariamente passano) apre l’essere ad una dimensione/non dimensione: quella mistica. Questo è quello che ci insegnano e ci trasmettono poeti, musicisti, pittori etc. che con le loro opere e i loro linguaggi ci vogliono dire: sappiate che oltre a ciò che si presenta ai sensi e alla ragione non possiamo far tacere quella parte che “dentro di noi” non smette di interrogarsi sul “senso” delle meraviglie che si pongono “fuori di noi”.
Lo Spazio della Montagna
Una seconda esperienza dell’ andare in montagna ci fa rivisitare l’altra dimensione che è connaturata al nostro essere: quella dello SPAZIO. Il nostro uomo lascia alle spalle lo spazio organizzato che viviamo nelle nostre città ( che percepiamo come realtà non armoniche ma caotiche e artificiali),nei nostri luoghi di lavoro, nelle nostre case; insomma si stacca dallo spazio antropizzato, da noi pensato e costruito, nel quale trascorriamo la nostra quotidianità . Con una escursione invece, al nostro uomo si impone uno “spazio naturale” che nel suo progressivo dispiegarsi in orizzonti e contesti diversi (una gola, un bosco aperto, un orizzonte etc.) si presenta sempre nuovo, sconfinato e irriproducibile. Uno spazio nel quale i suoni della natura ed anche il silenzio accentuano la nostalgia per una bellezza perduta che non ci è dato ritrovare nel degrado che viviamo quotidianamente.
La Bellezza della montagna
Il risultato del combinato che si realizza tra “tempo della natura” e “spazio della natura” offre all’uomo un “Nuovo Giorno” ricco di esperienze talvolta indicibili come avviene quando non si trovano le parole per raccontare quello che i nostri occhi hanno visto dalla vetta!. Come dire che l’esperienza appena compiuta trascende la nostra capacità di darne testimonianza. Percepiamo che le nostre parole non bastano, sono inadeguate. Balbettiamo di fronte a tanta Bellezza. Analoga esperienza vive il nostro uomo quando gli si pone di fronte la meraviglia di uno spazio dove si coniugano armoniosamente le realtà micro (una goccia di rugiada, una ampolla d’acqua che sale dal terreno, una sorgente etc.) e le realtà macro ( del bosco, della parete dolomitica, del paesaggio nel quale si ritrovano animali di diverse specie e del cielo nel quale si fanno presenti poiane e aquile, come è possibile fare esperienza nelle nostre vicine dolomiti).
Continuare a frequentare la montagna favorisce nel nostro uomo un accumularsi di esperienze,di riflessioni e di vissuti che creano un sano circuito tra memoria del passato, attualità del presente e progettazione del futuro. Da dove nasce se non da questo sano equilibrio fisico, psichico e spirituale il sorriso che spontaneamente si scambiano sconosciuti escursionisti quando si incrociano nei sentieri montagna? E ciò succede perché nel complesso l’uomo che ama la montagna la vive come esperienza di BELLEZZA , e cioè come trasfigurazione della realtà materiale che gli si pone di fronte.
E proprio perché è aperto alla meraviglia il nostro è un uomo che sperimenta una ulteriore DIMENSIONE DELLA CONOSCENZA, quella più alta e più nobile! Ponendosi la domanda dell’ORIGINE DELLE BELLEZZE che ci sono date il nostro uomo trova naturale rispondersi che queste bellezze sono il riflesso di UNA BELLEZZA (con la B maiuscola) dalla quale traggono origine tutte le manifestazioni del bello che appaiono ai suoi sensi.
A questo punto il nostro uomo che ama la montagna non sarà più solo un CAMMINATORE, un ESCURSIONISTA, un VIANDANTE, ma un PELLEGRINO che nella contemplazione della Bellezza troverà un punto di contatto e di apertura con la Rivelazione divina (“Dio offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé” cfr.Costituzione dogmatica Dei Verbum 3).
Ecco, in definitiva, e a mio avviso, il percorso e l’approdo al quale ci fa arrivare l’andare in montagna lungo gli anni della giovinezza, della maturità e dell’attesa del commiato.
Aldo Solimbergo
Treviso,7 marzo 2013
Categoria: News